Antonio Canova, Statua di Paolina Borghese,

marmo bianco, cm. 160 x 200, Roma, Galleria Borghese


Fascino senza tempo e la nuova bellezza.

La Sonata n. 5 per pianoforte.

 

 

        

        1. Slow Sound. La formula, apparentemente poco più di uno sfacciato claim pubblicitario, racchiude in realtà il segreto di una bellezza che si incarna nella lentezza, quello di una bellezza che si invera nel piacere esclusivo dell’indugio, della mora, della procrastinazione elevati non già a fini a sé stanti, quantunque si tratterebbe di un motivo di per sé non del tutto disprezzabile, ma a garanzia di maggior godimento e di riflessione (“verecunda cunctatio” la chiama il retore Quintiliano[1], il quale fa coincidere differimento e bellezza, ”art de prolonger le suspense” la chiama invece Kundera)[2]. Ansaldi e altri sostengono che nell’ascoltare occorre “prestare attenzione” ed investire di una “tensione mentale e di un impegno” un’occupazione che altri direbbe fisica (anziché mentale), ma soprattutto disimpegnata e gratificante.

 

        2. Strano che la mentalità corrente abbia fatto strame dell’innocente “contemplazione passiva” (“passive absorption”, così Goodman)[3], rendendola un atto quasi riprovevole ed estromettendola dal circuito virtuoso dell’esperienza estetica “legittima”. Slow Sound vuol dire rivalutare il “passivo fenomeno fisiologico” (Ansaldi)[4] a tutto svantaggio della “elaborazione critica” teorizzata da Adorno e dalla critica di indirizzo strutturalista. A voler essere più precisi, vuol dire collocare quello accanto a questa, facendo dell’ascolto passivo e rilassato – che la neuropsicologia definisce limbico, affidato cioè al mesencefalo, alla parte del cervello più direttamente coinvolta nel meccanismo piacere-ricompensa[5] – un correlato di gratificazione sensoriale non meno importante dell’altro, l’ascolto cosiddetto attivo e critico. Chi ha detto che l’atteggiamento estetico debba essere, giusta le parole di Goodman, “restless, searching, testing”[6] e non possa, all’opposto, essere pacifico e pigro e in preda al tipico incantamento che lo stupore e il piacere sempre portano con sé? Perché l’atto estetico deve collegarsi, secondo certuni, più al dovere che non al piacere?

 

        3. Fra le maglie sempre più strette e soffocanti del tempo scorciato, il quale si pone obiettivi regolarmente ambiziosi ma frustranti, torna a farsi strada e a rendersi sempre più avvertibile, con la sua promessa di una felicità nuovamente a portata di mano, il linguaggio cifrato della flânerie[7], del libro (rigorosamente cartaceo) che si centellina come un vino d’annata, del vecchio film in bianco e nero che si torna a rivedere per l’ennesima volta, della passeggiata senza scopo, ben descritta da Walser (Der Spaziergang)[8], da Benjamin ma – soprattutto – da Baudelaire nei loro scritti. Torna di moda ascoltare la musica con la stessa lentezza con cui, nella Parigi di Luigi Filippo, si “passeggiava con una tartaruga al guinzaglio” (“promener sa tortue”)[9]. Si apprezzano nuovamente Schubert e le sue “celestiali lunghezze” (Schumann), il Parsifal e la sua “sublime lentezza” (Gregorovius)[10]. Si degusta la musica rapiti, con il cuore che batte forte per l’emozione, anche quando si è ascoltato lo stesso brano per più volte ininterrottamente.

 

        4. L’“ossessione per il tempo scorciato” misura, spiega Crivelli, “l’accélération du rythme des sociétés”[11]. Lontano da ogni forma di stress e di rumore urbano, di fretta ostile e di rimozione del tempo umano a favore del tempo sociale, lontano anche da ogni agitazione convulsa e senza costrutto, il “suono lento” esercita il suo fascino ipnotico sugli ascoltatori provati dallo stress, dalla noia, dalla fatica, da un patologico eccesso di lavoro, dalla frenesia insensata di una routine che deprime in misura notevole la qualità della vita e che stenta a conciliarsi con i requisiti di un umanesimo radicato nell’antichissima civiltà di valori e di pensiero che ci ha dato i natali. Il ritmo di vita che il “suono lento” evita come la peste è quello che si identifica con il “cambiamento rapido” (“changement rapide”), come lo descrive Balandier[12], e con le istanze economizzatrici – di tempo e di denaro, ma anche di sapere – dettate dalla civiltà del terziario avanzato, le stesse in virtù delle quali l’apparire diviene un obbligo, mentre l’essere costituisce un mero optional, un valore aggiunto ma non più indispensabile e non più importante come un tempo.

 

        5. Un suono opportunamente “rallentato” è quello che reintegra l’uomo – princeps creaturarum[13] – al primo posto nella Werthetik, l’etica dei valori[14], lasciando che il lavoro, gli obblighi sociali, il glamour degli appuntamenti mondani, gli esercizi di presenzialismo, siano relegati in secondo piano. Ascoltare passivamente vuol dire lasciar libero di agire un segreto flusso di coscienza, flusso vivificatore, in grado di regalare energia anziché rubarla; vuol dire tornare a far coincidere il tempo della storia con quello del racconto, il tempo sacro, teorizzato da Eliade[15] e da Guénon[16], con quello profano. Ascoltare lentamente, leggere lentamente, guardare il creato con occhi nuovi e con studiata, compassionevole e partecipe lentezza, saper cogliere il segreto respiro della natura al di là degli elementi distrattori che vorrebbero impedirci di farlo: questo è ciò che Slow Sound si prefigge, questo è l’obiettivo che la Sonata n. 5 per pianoforte elegge a proprio fine prioritario.

 

        6. Se Adorno aveva sottolineato come le promesse altisonanti dell’Illuminismo fossero state storicamente smentite dai fatti e da una generalizzata “regressione delle coscienze”[17], la Sonata n. 5 fornisce una smentita a tale smentita, restaurando quelle promesse che un tempo ancora tutto sommato innocente aveva posto a salvaguardia della morale corrente e che oggi si sono perse insieme a quest’ultima. In altre parole: se Adorno ha ragione, è anche vero che il Settecento, l’Epoca dei Lumi, ancora possedeva e difendeva con tutti i mezzi possibili un’etica del progresso, dato che questa si alleava regolarmente con l’apologetica dei predicatori, con la lungimiranza dei sovrani, e con una visione generalmente antropocentrica delle attività umane; mentre oggi tali valori si sono persi in nome di una visione blandamente utilitaristica dell’agire che dà spazio al pragmatismo più disinvolto e rincorre il miraggio di una realtà virtuale alternativa, non solo e unicamente complementare, a quella che i nostri sensi – il cui limite deve costituire una garanzia di giustizia, e non certo il pretesto per una sfida insensata portata all’uomo e alle sue innate debolezze – caso per caso sperimentano.

 

        7. Nel ‘700 perfino i materialisti radicali D’Holbach[18] e Lamettrie[19] ammettevano l’esistenza di un principio vitale, animistico, capace di conferire un senso all’esistenza. Oggi la tecnocrazia, il prevalere di un tecnicismo fine a se stesso, che si è purtroppo propagato all’arte, ai suoi prodotti, ai suoi protagonisti, non dà spazio alla nozione di fine che invece l’idea di progresso, diffusa nel Settecento tanto stigmatizzato da Adorno, vivacemente propugnava (non è un caso che proprio in quell’epoca, quella del principato illuminato, la Massoneria – un vincolo soprattutto di ideali prima ancora che di interessi – conoscesse il momento apicale e più glorioso del suo sviluppo, e non è un caso che compositori quali Haydn, Mozart e Beethoven vi avessero con animo lieto aderito). Slow Sound vuol dire rimettere al centro del creato l’uomo. Non un rigurgito neotolemaico, ma l’espressione di un’esigenza di rinnovamento diffusa, della quale la Sonata n. 5 intende portare alla luce un aspetto, forse il principale, quello della durata abbinata all’intrinseco valore del prodotto. Una risposta al “mordi e fuggi” che è invalso in tempi eccessivamente frettolosi e nei quali everything goes, nei quali “tutto va”.

 

        8. Non si è, qui, introdotta una variabile di assoluto rilievo, quella costituita dalla natura, ossia dal fondamento biologico del fenotipo che riassume, condensandole sotto forma di adattamento ai dettami della civiltà, le esperienze fatte e le conquiste operate dai nostri progenitori. Natura è anche l’ambiente dal quale siamo circondati e, quasi, avvolti. Natura è l’ecosistema con il quale l’arte e la cultura devono fare i conti, su di esso incidendo in forma sempre indiretta e mediata, ma non per questo meno decisiva. Il divario tra natura e arte comincia a farsi avvertire con il manierismo secentesco e con i fasti dell’Arcadia, finendo per accentuarsi nell’ultimo scorcio del XVIII secolo, quando l’idealismo protoromantico giunge, se non a compensare, almeno ad attenuare la trasformazione dell’economia da mercantilistica in capitalistica e industriale, trasformazione di cui si incaricò la Rivoluzione industriale.

 

        9. Il Neoclassico venuto in auge al tempo della Reggenza e durato per circa un secolo fino alla Monarchia di Luglio, è questo residuo di poesia che ha il compito di edulcorare una realtà dall’aspetto ormai grigio e factual, ben poco avendo quest’ultima lasciato all’immaginazione e alla fantasia di poeti e prosatori. Anche oggi la tecnica è dominante in ogni ambito della vita civile, culturale, scientifica. La bomba di Hiroshima non è che il portato di una tecnica svèlta dai fondamenti antropologici del fare in generale, del pensare cartesianamente, ossia in modo “chiaro e distinto”, più in particolare. Oggi resta la nuda tecnica sotto forma di Handwerklichkeit, mentre la humanitas (anche da humus, e non solo da homo, come Hundertwasser ha fatto osservare) dell’arte e della cultura è stata rimossa per esser reputate entrambe, l’arte e la cultura, degli inutili orpelli, di ostacolo al progresso e alle comodità del vivere. Gli artisti hanno conosciuto il peccato[20].

 

        10. La Paolina Borghese del Canova, che rilegge a suo modo Fidia e Prassitele, introduce nel flusso vivo di un tempo storico l’icona di un ideale metastorico, atemporale, che non è parte della storia vissuta bensì, al massimo, di quella immaginata e sperata: il suo è il solenne “ingresso in una dimensione senza tempo né spazio” (G.C. Argan)[21]. Lo stesso scultore non parla di “invenzione” ma di “esecuzione sublime”[22]. La poetica del sublime percorre e innerva tutta la produzione del Settecento e trasfonde la propria linfa nell’arte di una civiltà di transizione che preannuncia drammaticamente quella successiva, ottocentesca, delle macchine e del profitto. Attraverso un recupero dell’ideale classico l’arte si assume, oggidì, il compito gravoso di attenuare il tremendo impatto che il dominio della tecnica ha su tutte le attività dell’uomo, nessuna esclusa. Non sono i videogames o i giochi di ruolo a consentirci di fermare la feroce ruota del tempo, “das Rad der Zeit”, come Wackenroder la chiama[23]. Solo l’arte bella – l’arte classica – può farlo. La Sonata n. 5 costituisce un richiamo alla funzione propedeutica della bellezza, una funzione sulla quale Schiller torna con insistenza nelle sue Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, alla sua valenza profondamente educativa, alle potenzialità inespresse dell’individuo (e che il dominio della tecnica sempre più impedirà di esprimersi, ove questa non sia tenuta a freno). La Sonata n. 5 riassume i requisiti dell’arte cosiddetta monumentale. Un aggettivo che deriva, come ognun sa, dal verbo latino monere, che vuol dire ammonire, ammaestrare, educare.

 

        11. Slow Sound è il grido di dolore di una bellezza colpevolmente relegata in soffitta, destinata a finire tra i ciarpami di una civiltà del benessere che da troppo tempo ha eletto l’efficienza – sinonimo di rendimento monetizzabile, di quanto identifica, quantificandolo, il rapporto fra investimenti effettuati e ricavi – a solo ed unico principio discriminante del fare. Su tali basi, è chiaro, l’arte diverrà perfettamente inutile. Non lo sarà se la musica, la pittura, la letteratura di qualità saranno in grado di rendersi monumentali, al tempo stesso visibili e pregiati, richiamando la platea dei loro utenti alle loro responsabilità. In questo senso l’arte monumentale è in pari tempo naturale, o naturalistica, facendo essa inclusione dei fondamenti ontici che all’individuo consentono di pensare e di agire e di integrarsi con la società per la salvaguardia di valori e sentimenti comuni, rispettoso di sé e dell’ambiente che lo circonda: solo l’arte classica, spiega Hauser, sicuramente non un conservatore, “equivale al trionfo del naturalismo e del razionalismo”[24].

       

        12. La Sonata n. 5 è, in questo senso, un vero inno alla natura e alla kantiana “praktische Vernunft”, in essa trovandosi parimenti rappresentati il febbrile orgoglio di Prometeo e la pacata sapienza Atena (nel mito greco, è quest’ultima a trasmettere al primo le conoscenze che avrebbero permesso al genere umano di intraprendere la via del progresso e della civiltà)[25], la “fisiologica” ambizione dell’uomo ed il suo sapere pratico-discorsivo. Se essa – la Sonata n. 5 – esige dal proprio ascoltatore un abbandono del tempo profano che lo seduce e lo soffoca, essa lo immette però nel flusso di un tempo sacro[26] che lo eleva e lo innalza ai fasti di una beatitudine edenica e preumana. La creazione artistica è – lo si ricordi – un processo sempre dialettico e aperto, essa non è mai unidirezionale. Solo un ascolto rilassato e un suono davvero e in tutti i sensi lento e meditato sono in grado di far imboccare all’ascoltatore la via che lo condurrà a un piacere e ad un arricchimento illimitati.

 

                                                               Carlo Alessandro Landini




 [1] M. Fabius Quintilianus Declamationes, IX, 2.

 [2] M. Kundera, La lenteur, Gallimard, Paris 1995, p. 48 (ed. it. La lentezza, tr .di Ena Marchi, Adelphi, Milano 1995, p. 39).

 [3] N. Goodman, Languages of Art. An Approach to a Theory of Symbols, Hackett Publishing 1968, p. 249 (I linguaggi dell’arte, trad. di F. Brioschi, Il Saggiatore, Milano 1976, passim).

 [4] G. Ansaldi, La lingua degli angeli. Introduzione all’ascolto della musica, Guerini, Milano 1993, pp. 65-106.

 [5] S. Brown, M.J. Martinez, L.M. Parsons, “Passive music listening spontaneously engages limbic and paralimbic systems”, in Aa.Vv., NeuroReport, 13/15 (Sept. 15, 2004), pp. 2033-2037.

 [6] N. Goodman, Languages of Art, cit., p. 242.

 [7] Per tale nozione si veda H. Neumeyer, Der Flaneur: Konzeptionen der Moderne, Königshausen & Neumann, Würzburg 1999.

 [8] R. Walser, Der Spaziergang, Huber, Frauenfeld & Leipzig 1917.

 [9] „Um 1840 gehörte es vorübergehend zum guten Ton, Schildkröten in den Passagen spazieren zu führen. Der Flaneur liess sich gern sein Tempo von ihnen vorschreiben“ (W. Benjamin, Das Paris des Second Empire bei Baudelaire, in Gesammenlte Werke, Suhrkamp, Frankfurt a.M., I, 2, p. 556). E si vedano H. Böhme, „Schildkröten spazieren führen. Über den Geschwindigkeitsrausch und die Trägheit der menschlichen Materie“, Neue Zürcher Zeitung, 19 Mai 2007; nonché H. Neumeyer, op. cit., p. 24.

 [10] F. Gregorovius, Wanderjahre in Italien, C.H. Beck’sche Verlagsbuchhandlung, München 1856, passim.

 [11] R. Crivelli, «L’espace, lest du temps», in NTIC et territoires: enjeux territoriaux des nouvelles technologies de l’information et de la communication, edité sous la direction de Luc Vodoz, Presses Polytechniques et Universitaires Romandes, Lausanne (CH) 2001, p. 83.

 [12] G. Balandier, “La sociologie aujourd’hui”, Cahiers internationaux de Sociologie, 71 (Juillet-Déc. 1981), pp. 197-204. Postilla l’autore: «Les situations révélatrices (manifestations collectives majeures, changements accélérés, crises, etc.) produisent un effet de grossissement comparable à l’effet-microscope des sciences de la nature».

 [13] L’Aquinate si riferisce al diavolo come al princeps creaturarum, puntualizzando: “non ergo est princeps creaturarum, sed peccatorum et tenebrarum” (Tommaso d’Aquino, Super Evangelium S. Ioannis Lectura, VIII). Ogerio Abate accoglie l’accezione tomista: “Venit diabolus, non princeps creaturarum, sed peccatorum” (B. Ogerii Abbatis Lucedii Ordinis Cisterciensis in Dioecesi Vercellensi Sermones XV. De sermone Domini in ultima coena ad discipulos habito, VIII). Con il termine anzidetto ci si riferisce, qui, è chiaro, all’uomo “principe di tutte le creature”, in base ad un’altra e opposta accezione, abbracciata fra l’altro dal mistico olandese J. van Ruusbroec, Lo specchio dell’eterna beatitudine, Paoline, Milano 1994, p. 115. Durante l’Angelus del 29 luglio 1973 papa Paolo VI definì l’uomo “principe delle creature”.

 [14] Il riferimento è alla figura e all’insegnamento del filosofo Max Scheler, del quale si vedranno soprattutto i saggi Vom Umsturz der Werte. Francke-Verlag, Bern & München 1972; e  Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik, Francke-Verlag, Bern & München 1980.

 [15] M. Eliade, Le sacré et le profane, Gallimard, Paris 1965.

 [16] R. Guénon, La crise du monde moderne (1927); Gallimard, Paris 1946.

 [17] Il riferimento è allo storico saggio di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, Querido, Amsterdam 1947 (in seguito Fischer, Frankfurt a.M. 1969). La regressione della coscienza planetaria è il destino fatale dello sviluppo storico che la Frankfurter Schule rileva rispetto alle “magnifiche sorti e progressive” auspicate e preannunciate dall’Illuminismo.

 [18] P.H. Thiry, Baron d’Holbach, Système de la nature, ou des lois du monde physique et du monde moral, Londres 1770 ; oggi nella ristampa di Fayard, Paris 1990.

 [19] « Mais comme l'homme, quand même il viendrait d'une source encore plus vile en apparence, n'en serait pas moins le plus parfait de tous les êtres ; quelle que soit l'origine de son âme, si elle est pure, noble, sublime, c'est une belle âme, qui rend respectable quiconque en est doué. » (J. Offray de La Mettrie, L’homme machine, Elie Luzac, fils, Leiden 1748).

 [20] Il riferimento è alla celebre ammissione fatta, nel 1947, dal fisico Julius Robert Oppenheimer, uno tra i padri più autorevoli della bomba atomica e a capo del Progetto Manhattan: “In some sort of crude sense in which no vulgarity, no humor, no overstatement can quite extinguish, the physicists have known sin”. Si veda, per tutti, il saggio di J.S. Rigden, “Il contributo di Oppenheimer alla fisica moderna", Le Scienze, 325 (Sett. 1995), pp. 62-67.

 [21] G.C. Argan, Storia dell’arte italiana, Sansoni, Firenze 1968, vol. 3, p. 467.

 [22] “Questa è l’unica convenzione che v’ha nelle arti e nelle lettere, l’esecuzione sublime” (M. Missirini, Della vita di Antonio Canova, Giovanni Silvestri, Milano 1825, III, 9, § 9, p. 301).

 [23] W.H. Wackenroder, Ein wunderbares morgenländisches Märchen von einem nackten Heiligen, in Phantasien über die Kunst, 1799; La meravigliosa favola orientale di un santo ignudo, in Fantasie sulla musica, a cura di Enrico Fubini, trad. di Bonaventura Tecchi, Discanto, Fiesole 1981, pp. 25-26.

  [24]“Und wie im Drama, so ist der Klassizismus auch in den anderen Künsten gleichbedeutend mit dem Triumph des Naturalismus und Rationalismus... ” (A. Hauser, Sozialgeschichte der Kunst und Literatur, C.H. Beck, München 1951; Storia sociale dell’arte, Einaudi, Torino 1956, vol. 2, p. 145).

 [25] Prometeo, scrive Graves, “con il consenso della dea Atena” formò i primi uomini “a immagine e somiglianza degli dei impastando la creta con l’acqua del Panopeo, fiume della Focide; e Atena soffiò in essi la vita” (R. Graves, Greek Myths, 4b: “with the consent of the goddess Athene, Prometheus, son of Iapetus, formed them in the likeness of gods. He used clay and water of Panopeus in Phocis, and Athene breathed life into them”; trad. I miti greci, Longanesi, Milano 1955, p. 27); “Prometheus Iapeti filius primus homines ex luto finxit, postea Vulcanus Iovis issu ex luto mulieris effigiem fecit, cui Minerva animam dedit “ (Igino, Fabulae, 142); e cfr. Ovidio: “quam satus Iapeto mixtam pluvialibus undis / finxit in effigiem moderantum cuncta deorum” (Metam. I, vv. 82-83).

 [26] V. supra, n. 15.